La Federazione Nazionale dei Collegi IPASVI chiede il coinvolgimento della categoria infermieristica anche nella prevenzione.
Quindici anni dopo – anche se con molte eccezioni legate a necessità soprattutto di contenimento di spesa che hanno costretto Governo e Regioni ad anticipare una serie di misure – i nuovi Livelli Essenziali di Assistenza a quanto pare ce l’hanno fatta. E ce l’hanno fatta “nonostante le cassandre che nello strumento studiato per garantire a tutti e ovunque il diritto costituzionale di tutela della salute, hanno subito visto un incremento di spesa, confondendo ancora una volta la questione economica con l’assistenza, l’appropriatezza clinica con l’efficienza di spesa”, sottolinea Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi.
“I Lea sono una realtà importante per il Servizio sanitario nazionale – aggiunge – e ora indubbiamente c’è la parte più difficile, quella di essere certi che siano davvero garantiti a tutti e ovunque. Un impegno importante per il ministero della Salute, il Governo, il Parlamento e le stesse Regioni che li devono applicare. Una speranza per quel personale, quei professionisti che ogni giorno hanno fatto di tutto per farli rispettare, nonostante le difficoltà di un servizio sanitario concentrato a quanto pare finora più sulla spesa che non sui risultati della sua mission. Per quei professionisti che credono ora nelle promesse del ministro Lorenzin che ha annunciato l’operatività dei nuovi Lea dall’autunno e dal prossimo anno, con la legge di stabilità, sblocco del turnover, stabilizzazione dei precari, rinnovo del contratto”.
E nei nuovi Lea gli infermieri ci sono. In modo nuovo rispetto al passato, gettando le premesse per il vero riconoscimento della professione e della professionalità non in modo subalterno, ma assolutamente paritario con altre professioni sanitarie.
C’è il welfare socio-sanitario con livelli progressivi di intensità di cure per l’assistenza prevista. Per l’Adi ai malati cronici non autosufficienti, si passa dal livello base all’alta intensità che corrisponde all’ospedalizzazione domiciliare. Si tratta di prestazioni professionali prevalentemente di tipo medico-infermieristico-assistenziale ovvero prevalentemente di tipo riabilitativo-assistenziale. E il Dpcm prevede per l’integrazione sociosanitaria, che le cure domiciliari siano integrate da prestazioni infermieristiche e di assistenza professionale alla persona. Queste, erogate secondo i modelli assistenziali disciplinati dalle Regioni, sono a interamente carico del Servizio sanitario nazionale per i primi trenta giorni dopo la dimissione ospedaliera protetta e per una quota pari al 50 per cento negli altri casi.
“C’è molto e ci sono molte novità, soprattutto sul territorio. Ma in alcuni passaggi – prosegue Mangiacavalli – ancora sembra esserci un “distacco” anche rispetto ad altri provvedimenti già approvati”.
E’ il caso delle cronicità, in cui gli infermieri nei Lea sono un livello poco citato, mentre lo sono a pieno titolo e con piene funzionalità – anche se ancora si possono fare passi avanti – nel piano specifico da poco approvato anche dalle Regioni.
E c’è poco sul versante della prevenzione, dove manca semplicemente tutto ciò che fin dal 1994, nel profilo professionale, è prerogativa dell’infermiere nel momento in cui si afferma che fanno parte delle caratteristiche della professione “le principali funzioni sono la prevenzione delle malattie, l’assistenza dei malati e dei disabili di tutte le età e l’educazione sanitaria”.
“Un provvedimento necessario e arrivato fin troppo in ritardo rispetto alla prima versione del 2001 – sottolinea la presidente Ipasvi –, che ha dovuto subire integrazioni e modifiche spot legate alle necessità contingenti del Servizio sanitario nazionale. Tuttavia un provvedimento che non arriva ancora alla piena operatività di un sistema in cui la componente principale sono proprio i professionisti che i Lea devono applicare”.
Un po’ come imboccare un’autostrada con una meta ben definita e raggiungibile in modo lineare e in tempi relativamente brevi – conclude Mangiacavalli – e poi su questa trovare deviazioni e interruzioni che costringono il viaggiatore – alias il paziente – a percorsi alternativi. Si va ugualmente avanti, è vero, ma non nel modo migliore e con il miglior utilizzo delle risorse. Nel modo più appropriato per farla breve, non solo dal punto di vista clinico, ma anche organizzativo. Speriamo che la promessa di adeguare i Lea ai nuovi bisogni presto preveda anche questo”.