Vedevo medici, infermieri impauriti che cercavano di fare e di dare il meglio che potevano. Sembravate dei piccoli alieni che correvano, senza una fine, cercando sempre di avere una parola di conforto per noi anche se i primi ad essere confortati avreste dovuto essere voi . La toccante lettera di ringraziamento di un paziente indirizzata ad un’infermiera di terapia intensiva dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo.
Mi sono addormentato nei tuoi occhi, sono rinato nelle tue mani
La lettera di ringraziamento di un paziente Covid all'infermiera di terapia intensiva che lo ha curato
Cara M.,
è passato un anno da quel giorno in cui le tue mani unite alle mie hanno iniziato il difficile viaggio che mi ha portato qui oggi. Ero a casa con la febbre, con il respiro affannato, spaventato da questo terribile virus. Non sapevo cosa mi sarebbe successo e se mai avrei rivisto i miei cari. Arrivò l'ambulanza a prendermi e a portarmi in Pronto soccorso o, meglio, in trincea.
Sono stato quattro giorni su quella barella fredda , scomoda, con quel casco giallo che mi aiutava a respirare. Vedevo medici, infermieri impauriti che cercavano di fare e di dare il meglio che potevano. Sembravate dei piccoli alieni che correvano, senza una fine, cercando sempre di avere una parola di conforto per noi anche se i primi ad essere confortati avreste dovuto essere voi… il terrore era anche nei vostri occhi , perché stavate affrontando un nemico sconosciuto con le armi che avevate.
Io mi concentravo nel cercare di respirare senza sentire quella straziante sensazione di morire. Ero dentro. Ero solo e sapevo che potevo contare sulle mie forze e su di voi per poter ritornare dai miei cari.
Ad un certo punto il casco non bastava più… capivo che la situazione stava peggiorando e l'unica chance che avevo era l'intubazione. Ho avuto la fortuna - e dico fortuna - di poter essere intubato e di aver avuto un letto in terapia intensiva.
Ecco, in quel momento in cui sono arrivato nel tuo reparto ci siamo incontrati per la prima volta. Sicuramente è successo tutto rapidamente, ma dal mio punto di vista è trascorsa un'eternità . Tu con i tuoi colleghi mi avete messo a letto e dentro quel casco rumoroso mi hai detto: adesso ti addormentiamo e ti facciamo respirare, stai tranquillo ci siamo qui noi e non sentirai nulla .
E così è stato: mi sono addormentato guardando i tuoi occhi stanchi sotto quella visiera e sopra quella mascherina. Sembra che sia passata una vita intera mentre dormivo e voi mi curavate. Quando mi sono addormentato ho detto “addio” dentro di me: addio alla vita, addio ai miei cari. Pensavo che quel maledetto di virus avesse vinto su di me.
Invece un giorno… sinceramente non mi ricordo se fosse giorno o notte, perché in terapia intensiva è difficile capire che ora è, e il mio ricordo è comunque confuso.
Mi ricordo di te , mi ricordo che mi hai chiamato a gran voce per capire se ti sentissi. La voce del medico che insisteva perché io aprissi gli occhi, mi è sembrato di scalare l’Everest per riuscire a farlo, ma ce l’ho fatta! Ero vivo! Vivo!!
Non potevo parlare per urlarlo, il tubo in gola che non mi permetteva di farlo ma che mi ha salvato la vita. Mi dava fastidio, ma respiravo. Ero sveglio, quelle luci, i rumori, i beep dei monitor, le vostre voci, il rumore dei respiratori… tanti rumori assordanti, ma c'ero!
E tu che mi hai detto sei il mio eroe , non sapevi che non ero io l'eroe in quel momento, ma eri tu la mia eroina
Mi sono addormentato nei tuoi occhi, mi sono risvegliato - o meglio - sono rinato nelle tue mani. Non voglio essere troppo melenso e prolisso. Questa lettera è per ringraziare l’angelo che sei stata per me, che sei e che sarai per me.
Eternamente grato.
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