Come tornare a una sanità che metta al centro la persona
Mio padre è stato ricoverato in un contesto ancora influenzato dalle restrizioni del Covid-19. Un’infermiera ci ha accolto sulla soglia del reparto. Dopo aver verificato che mio padre fosse il paziente giusto, gli ha semplicemente detto di seguirla, senza rivolgere a noi familiari una parola in più .
Il periodo della pandemia di Covid-19 ha messo a dura prova il sistema sanitario e la società nel suo insieme. Nonostante i progressi straordinari della medicina, sento che qualcosa di fondamentale si è perso: il lato umano e relazionale della cura .
Abbiamo fatto passi da gigante in campo tecnologico e scientifico, ma temo che ci siamo inariditi sul piano umano. Questa consapevolezza mi è stata particolarmente chiara in un'esperienza recente che ha coinvolto mio padre, ricoverato per un intervento di asportazione di un tumore.
Già la parola "tumore" evoca timori profondi in noi sanitari quando ne veniamo a conoscenza durante l'iter diagnostico di un determinato paziente, posso solo provare a descrivervi l’impatto devastante che ha avuto la scoperta di questa diagnosi su mio padre, mia madre e tutta la mia famiglia.
Una diagnosi del genere, indipendentemente dalla localizzazione o dalla gravità del tumore, genera immediatamente paura e un bisogno urgente di rassicurazioni, soprattutto per chi non fa parte del mondo sanitario e non sa che oggi il tumore è una sfida medica comune, con grandi possibilità di guarigione. Tuttavia, questa realtà non è così facilmente comprensibile per chi non lavora nel settore.
Mio padre è stato ricoverato in un contesto ancora influenzato dalle restrizioni del Covid-19. Durante il prericovero gli era stato detto di presentarsi un certo giorno alle 18:00, all’ingresso del reparto, per poi essere ricoverato e sottoposto all’intervento il giorno successivo.
Quando quel giorno è arrivato, un’infermiera ci ha accolto sulla soglia del reparto . Dopo aver verificato che mio padre fosse il paziente giusto, gli ha semplicemente detto di seguirla, senza rivolgere a noi familiari una parola in più, senza offrire indicazioni, spiegazioni o una presentazione di ciò che sarebbe accaduto nelle ore successive.
Se non l’avessi fermata io, ci avrebbe lasciate lì, mia madre ed io, senza parole, senza permetterci di salutare mio padre, senza permetterci di accompagnarlo nella sua stanza, nemmeno per un breve saluto o per vedere chi fosse il suo compagno di stanza.
Solo a seguito della nostra richiesta di informazioni ci ha spiegato che era di fretta e che, a causa delle misure precauzionali ancora in vigore, le visite erano consentite solo una volta al giorno e solo a una persona. Poi ha accompagnato mio padre all’interno, lasciando che le porte di vetro si chiudessero dietro di lei.
Dentro di me, un misto di emozioni si è fatto strada: mi sentivo come se io e mia madre avessimo abbandonato mio padre, lasciandolo da solo, spaventato, in un ambiente nuovo, di cui non sapeva nulla, con mille preoccupazioni che sembravano non essere state percepite dall’infermiera.
Quando, verso sera, abbiamo chiamato mio padre, mi ha fatto piacere sapere che l’infermiera si era poi scusata per la sua "mancanza". Ha spiegato che era dovuta al pesante carico di lavoro e al vincolo di non permettere l’accesso ai parenti al di fuori dell’orario di visita.
È proprio di questo che parlo : il rispetto del lato umano, dell'animo umano , probabilmente esiste ancora, ma sembra che ce ne siamo dimenticati a causa del troppo lavoro e delle troppe restrizioni.
Come professionista sanitaria capisco la necessità di mantenere alcune precauzioni, ma è importante riconoscere che l’emergenza sanitaria, per quanto drammatica, è stata quasi del tutto superata. Forse è giunto il momento di ripensare queste regole, tornando a considerare il lato umano della cura. Il semplice gesto di permettere ai familiari di stare accanto al proprio caro in momenti difficili può fare una grande differenza per il paziente, che si sente sostenuto e meno solo.
Sono piccole accortezze, ma hanno un impatto enorme sul benessere dei pazienti e delle loro famiglie. Perché non ripristinare orari di visita più flessibili o permettere ai familiari di essere presenti subito dopo un intervento chirurgico?
Non dobbiamo dimenticare che la sanità non riguarda solo la cura della malattia, ma anche l’attenzione alle persone nella loro totalità, con le loro paure, speranze e bisogni di vicinanza.
Riflettiamo insieme su come possiamo tornare a una sanità che metta al centro la persona e i suoi familiari. Ripristiniamo quelle piccole, ma fondamentali, attenzioni che aiutano a guarire non solo il corpo, ma anche l’animo.
Ritengo che noi, come professionisti della sanità, abbiamo la responsabilità di portare alla luce queste osservazioni, frutto della nostra quotidianità e della nostra esperienza diretta. Solo così possiamo contribuire a migliorare il sistema e a colmare le sue mancanze.
Chiara Vigorelli | Infermiera
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