Il 22 maggio del 1978 era un lunedì. Sicuramente non un giorno qualsiasi. Una giornata particolare. Una giornata che meriterebbe una riflessione storica decisamente più seria e meno politica. Quel lunedì le Persone di sesso femminile hanno ottenuto, sempre troppo tardi, ciò che avrebbe dovuto essere considerato, da sempre, un loro diritto. Il diritto all’aborto , sancito dalla Legge 194/78 a firma dal Presidente della Repubblica, di allora, Giovanni Leone.
W la legge 194/78
La Legge 194/78, a firma del Presidente della Repubblica, sancisce il diritto all'aborto.
Questa Legge fu proposta dal Deputato della Repubblica italiana Vincenzo Balzamo. Iscritto al P.S.I. allora importante, se non numericamente, almeno storicamente e per sentimento popolare, partito della sinistra italiana. Fin dal 1973, un altro Deputato del P.S.I. di allora, Loris Fortuna, già firmatario della Legge sul divorzio, provò a farsi promotore di una legge così tanto illuminata quanto troppo precoce per l’etica italica di allora. Ma non solo.
I partiti che lottarono, affinché questo sentire popolare, naturalmente specie nelle donne, si tramutasse in atto concreto e giusto furono: PCI; PSI; PSDI; PRI e PLI. Per la cronaca non tutti partiti di sinistra. Anzi, i repubblicani e i liberali furono spesso partecipi di quel pentapartito di centro-destra che governò l’Italia per parecchi anni.
Naturalmente l’unico partito, importante, che fece propaganda politica contro la legge sull’aborto fu la D.C. Quella Democrazia Cristiana che sì, aveva contribuito in maniera decisiva alla ripresa economico-sociale post bellica del nostro bel paese, ma, per paura di perdere quel pluridecennale consenso popolare, scelse la strada dell’oscurantismo e della repressione di quel sentimento femminile. Ma, pure di tanto altro ancora. Allora come oggi.
Cambiano i giocatori, ma non il risultato. Questo tempo, il nostro, dove un pericoloso revanscismo oscurantista sta provando a smontare quella Legge ma, non solo quella, che il mondo progressista e attento al proposito popolare, ha ottenuto in quel tempo cui abbiamo fatto cenno appena sopra.
L’amore e il rispetto, che ognuno di noi deve possedere e dimostrare, verso ogni Donna, non si può fermare alla semplice negazione della violenza di genere. Deve andare oltre. Deve porre in essere il rispetto che merita una decisione che, se presa, pone la Persona-Donna sempre in una difficoltà personale e intima da non poter trovare alcun conforto.
Chi prova a creare e seminare il dissenso, in maniera politica e religiosa, su un tema così delicato, ma consolidato nella legalità da molto tempo oramai, dimostra una visione etico-sociale opaca e miope.
Non va dimenticato che la possibilità di avere figli è, sempre più spesso, caratterizzata da situazioni economico-sociali che ne determinano la scelta. Avere figli, e farli crescere in una possibile condizione di armonia con il mondo, sta a significare avere determinate sociali ed economiche adeguate al bisogno.
Certo è che se i nostri giovani si trovano a dover convivere con lo status di lavoratori-poveri, faticando a pagare un affitto, a mettere insieme pranzo con cena, come si può pretendere loro di mettere al mondo dei figli? E se la gravidanza fosse frutto di un incidente in un rapporto casuale? La donna dovrebbe farsi carico di portarla avanti? Pure quando è conseguenza di violenza? Certo che lo può fare, purché la decisione sia frutto unicamente del proprio volere.
Volere determinato da una consapevolezza che ne dimostri indipendenza di pensiero e coscienza individuale. Nessuno, dico nessuno, può permettersi di giudicare una scelta così delicata e difficile che, comporta in ogni Donna una ferita difficilmente rimarginabile. Ma, ancor più nessuno e ribadisco nessuno, deve e dovrà mai permettersi di usare l’arma del ricatto nel frangente in cui viene determinata la così difficile scelta o, ancor più, nei momenti prossimi all’atto chirurgico.
Obbligare all’ascolto del battito fetale e/o costringere la Donna a un colloquio con qualche antiabortista significa usare una violenza inaccettabile. Una violenza che meriterebbe un’adeguata risposta giudiziale.
Inoltre, in questo merito, come si può inserire il tema religioso? Essere religiosi praticanti significa essere antiabortisti? Se così fosse e purtroppo troppo spesso lo è, vuole dire certificare che essere fedeli, nel senso religioso del termine, per alcuni, significa essere poco propensi alla valutazione sistemica della vita. Significa ragionare in maniera cartesiana, algoritmica dove A porta sempre a B. Estromettersi dalla realtà.
Come quegli alti prelati che vanno in TV a condannare tutte le Donne che decidono di abortire. Le giudicano e condannano senza saper ascoltare, senza voler provare a capire, andando contro i dettami dei loro ordini religiosi che dettano ascolto e comprensione come strada per vicinarsi a Dio. Il giudizio a prescindere conduce alla miseria culturale e del pensiero. Mi verrebbe da dire: proprio loro che hanno scelto di vivere una vita senza il confronto con la realtà quotidiana. Cosa che certamente non rappresenta la forma ideale di prossimità al divino. Ma, questi sono i tempi cui siamo destinati a vivere. Il regresso del libero pensare .
A noi la forza di reagire a questi tentativi di soprusi e di impoverimento culturale. Difendendo il diritto all’aborto non solo difendiamo le Donne, tutte, ma pure una condizione di libertà di pensiero che credevamo, oramai, perpetua. Questa lotta deve essere propedeutica al mantenimento del concetto di vera Democrazia, alla difesa del nostro diritto alla salute, e alla conservazione di quel costruito che desideriamo considerare universalistico: il S.S.N.
Concludo chiedendo a tutti gli OPI di schierarsi ufficialmente in difesa di un diritto che, ripeto, tutte le Donne devono aver garantito. Ricordo che la maggior parte del personale infermieristico e sanitario in genere, è Donna. Difendere i loro diritti è anche un po’ difendere i diritti e il prestigio delle nostre Colleghe, della nostra categoria professionale e culturale tutta. Costruiamo e partecipiamo alla lotta affinché l’aborto venga sancito nella Costituzione. Così come sta succedendo nella vicina Francia.
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