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editoriale

Si sciopera oggi per lavorare meglio tutte e tutti da subito

di Giordano Cotichelli

Ancora uno sciopero quello di oggi 9 dicembre indetto dalle tre principali confederazioni sindacali e riguardante il settore del pubblico impiego, in cui si ritrovano anche buona parte di infermieri, medici, oss, inservienti, tecnici e tanti operatori sanitari. Coloro i quali stanno garantendo la tenuta del sistema, insieme agli insegnanti e a tutti quelli che mandano avanti i servizi pubblici in questo paese. Uno sciopero non scontato, ma di certo un atto dovuto a fronte di un quadro lavorativo sempre più precarizzato, sottopagato e ridotto negli organici.

E allora… licenziateci tutti

Uno studio della Banca d’Italia ha rilevato una perdita, nel ventennio 1990–2010, di 300.000 organici, registrando uno fra i livelli occupazionali più bassi in Europa, con dei dati, relativi al decennio tra il 2007 e il 2017, che registrano una contrazione del 7,4%, una fra le più alte, preceduta solo da Turchia, U.K., Israele, e Germania.

Ciò nonostante resta la vulgata del lavoratore statale tutelato, privilegiato, garantito. Certo, in parte è anche vero, rispetto a come vengono trattati i lavoratori nei settori privati, nel selvaggio mondo dei non garantiti, che considera il profitto l’unico valore da seguire, ma tutto questo dovrebbe spingere per una omologazione verso l’alto, al fine di garantire anche al settore privato quei “diritti” (sempre più erosi), che qualcuno considera privilegi, del settore pubblico.

Invece avviene tutto il contrario, perpetuando e diffondendo la vulgata, rimbalzata nel corso del tempo, anche grazie alla disinformazione portata avanti da spettabili ministri ed esponenti di partito (ad ogni livello della rappresentatività politica), utile a dipingere i lavoratori del pubblico impiego come fannulloni, parassiti, furbetti del cartellino, degni di essere licenziati ad ogni piè sospinto. Il risultato è quello di sempre: una guerra fra poveri.

Invece di ambire ad un allargamento dei diritti, ad una diffusione delle garanzie sociali, si esaltano le peggiori espressioni del mercato del lavoro unicamente in senso rancoroso e pulsionale.

Del resto è lo specchio società italiana, la stessa messa in evidenza dal 54° Rapporto Censis presentato nei giorni scorsi in cui il 38,5% è disposto a contrabbandare benessere economico con diritti civili, ponendo limiti al diritto di sciopero (vabbè in tempo di pandemia…), alla libertà di opinione (per carità, con tutte le corbellerie che si dicono sui social) e restringendo la possibilità di iscriversi a sindacati, organizzazioni e associazioni.

Viene da chiedersi se l’esasperazione per la drammaticità della situazione attuale sia tale da far perdere il senno della ragione o, peggio ancora, se i vecchi nostalgici di sempre non perdono occasione per promuovere una visione non proprio pluralista della società. Come dire: chi più urla oggi alla dittatura sanitaria, in realtà è proprio colui che accetterebbe proprio una bella dittatura.

Il rapporto del Censis offre ulteriori perle sondaggistiche che nell’insieme confermano come sia inveterata l’abitudine di una parte della società italiana di ergersi a censore e giudice, preferendo pulirsi la coscienza con il sudore dell’ipocrisia piuttosto che con quello della solidarietà.

In realtà questo sciopero, come gli altri che si sono alternati nelle scorse settimane, ha una importanza notevole. Probabilmente non cambierà radicalmente lo stato delle cose, l’emergenza in atto e le ferite aperte del welfare italiano, ma sottolinea la dignità delle lavoratrici e dei lavoratori del pubblico impiego che non rinunciano ai loro diritti che sono diritti di tutte e per tutti, in un allargamento delle garanzie sociali che non può più essere letto nella contrapposizione fra pubblico e privato, ma deve essere letto in termini, come suggerisce anche Revelli, nell’alleanza fra garantiti (sempre di meno) e non garantiti (sempre di più).

Uno sciopero, tanti scioperi, fatto per rivendicare la dignità del lavoro (e del reddito) e la sicurezza dei lavoratori (e degli utenti) è la prima espressione di una società che non si è abbruttita del tutto, che mira alle libertà sociali e ai diritti individuali.

Uno sciopero, come tutti gli altri, che merita di reverberarsi nei mesi che seguiranno, nella ricerca da parte di tutti di costruire, rafforzare ed allargare una rete solidaristica che possa essere una ulteriore risorsa per far fronte a settimane le quali, purtroppo, sembrano prospettarsi ulteriormente difficili. In questo si è visto come chiacchieroni e santoni di ogni tipo fanno perdere tempo, mentre coscienze e conoscenze riproducono e fortificano lo spirito collettivo nato la scorsa primavera. Si sciopera oggi, per lavorare meglio, tutte e tutti da subito.

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