Da dipendente ospedaliero ad imprenditore nel campo della salute e dell’assistenza. È quello che accadrà tra qualche anno con il riconoscimento collettivo delle specializzazioni e della Libera Professione Infermieristica. Come i Medici, anche gli Infermieri si occuperanno sempre più direttamente dei loro pazienti, senza mai oltrepassare le proprie competenze e nel pieno rispetto dei dettami del Profilo Professionale e del Codice Deontologico.
La professione dell’infermiere è ormai abbastanza matura e pronta per abbandonare il rassicurante stereotipo del dipendente ospedaliero e assumere le coraggiose vesti imprenditoriali, sia in ragione delle molteplici competenze acquisite, sia in considerazione delle nuove prospettive d’investimento nel settore assistenziale.
La disastrosa situazione occupazionale della categoria può rappresentare, paradossalmente, una spinta propulsiva verso la ricerca di nuovi ambiti lavorativi ed una diversa spendibilità della professione.
L’attività d’impresa svolta in forma individuale o collettiva, da un lato richiede delle peculiarità caratteriali e, dall’altro, delle serie competenze di pianificazione e marketing che se non fanno parte del proprio know-how debbono essere acquisite o apportate da consulenti esperti nel settore.
Ecco l’infermiere del futuro
Per fronteggiare questa esigenza si sono già mosse alcune Università come ad esempio il Campus Biomedico di Roma che ha attivato il Master in “Imprenditoria in Sanità”, volto a formare la nuova figura dell’imprenditore dei servizi socio-sanitari territoriali.
Per quanto concerne le caratteristiche di un imprenditore di successo, sono necessarie delle buone dosi di:
- tenacia;
- intraprendenza;
- empatia;
- predisposizione al lavoro di squadra;
- pragmatismo;
- disciplina;
- ottimismo;
- creatività;
- flessibilità.
Considerando il boom della sanità low-cost e la tendenza allo spostamento dell’assistenza dall’ospedale al territorio, oggi una buona opportunità d’investimento in termini di capitali e professionalità è rappresentata dal terzo settore (non profit), un ambito dell’economia nazionale in netta espansione.
In Italia, il settore incide per il 3,4 % nel prodotto interno lordo e coinvolge oltre 300 mila realtà, circa un milione di addetti e quasi 5 milioni di volontari. Il 90% circa del personale opera principalmente in tre aree: Assistenza Sociale (33,1%), Sanità (23,3%), Istruzione e Ricerca (17.8%).
Le nostre imprese sociali sono circa 13.000, con un capitale investito che sfiora gli 8,5 miliardi di euro. I dati disponibili evidenziano, inoltre, che se da una parte circa la metà delle imprese sociali individua un ente pubblico come principale cliente pagante, una quota altrettanto consistente (poco meno del 40%) ha come cliente principale singole persone e famiglie, delineando così un processo di riconversione dei mercati in cui queste imprese scambiano beni e servizi di “utilità sociale”.
Le linee guida della riforma del settore, attualmente in discussione alla Camera, oltre a semplificare la vigente normativa piuttosto articolata, prospettano una diversa vision delle imprese sociali, prevedono il riconoscimento civilistico a tutto quello che sta fra il pubblico e il privato creando un sistema tripolare e non più bipolare (Pubblico/Privato).
In questo modo molti soggetti saranno privati sotto il profilo giuridico, ma pubblici dal punto di vista delle finalità che perseguono; si riconoscerà loro, con molta probabilità, il carattere lucrativo, con la previsione della possibilità di reinvestire e ripartire gli utili. Inoltre saranno potenziati gli strumenti di finanziamento con incentivi per la libera scelta dell’utente attraverso detrazioni/deduzioni fiscali e l’introduzione di voucher per i servizi alla persona e alla famiglia.
Il Terzo Settore
Comprende realtà aventi diverse funzioni-obiettivo; è possibile, dunque, trovare sia organizzazioni che svolgono prevalentemente una funzione produttiva (quali le cooperative sociali e le imprese sociali), che realtà (come le fondazioni) aventi prevalentemente una funzione erogativa, finalizzata a sostenere l’attuazione di interventi di welfare a livello locale da parte di altre organizzazioni del Terzo Settore, oppure quella di advocacy (come le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale).
La nascita di una nuova attività imprenditoriale deve essere sempre sostenuta da uno studio di fattibilità che si concretizza nella redazione di un documento, il cosiddetto “business plan”. Questo documento deve contenere una descrizione del progetto, la presentazione dell’imprenditore e del management, un’analisi di mercato, un piano di marketing e informazioni circa la redditività attesa e gli investimenti da sostenere.
Le start up dei servizi assistenziali
Non sempre debbono disporre di ingenti capitali e la possibilità di nascere sotto forma di impresa collettiva offre l’opportunità di ripartire il rischio iniziale. Seppure la maggior parte delle imprese sociali (circa il 70%) compiano, per varie ragioni, la scelta dell’autofinanziamento, sono diversi i finanziamenti pubblici previsti per le imprese sociali e possono consistere in contributi a fondo perduto o in finanziamenti a tassi agevolati.
I principali riferimenti legislativi continuano ad essere i fondi per i giovani imprenditori (legge 263/93 e legge 144/99), il D.lgs 185/2000 (autoimpiego) destinato ai giovani residenti nelle Regioni del Sud Italia e la Legge 215/92 (azioni positive per l’imprenditoria femminile).
L’Unione Europea, attraverso il Fondo Sociale Europeo (FSE), eroga fondi con appositi bandi finalizzati a determinati progetti sociali, mentre Il Ministero per lo Sviluppo Economico stanzia contributi nei confronti di specifiche categorie di imprese sociali. Anche le Regioni e le Province fanno la loro parte attivando periodicamente dei bandi che a secondo delle politiche sociali possono essere finalizzate a sostenere l’occupazione o lo sviluppo economico delle imprese.
Le Camere di commercio, oltre a fornire delle guide e degli sportelli di consulenza specializzata sulle procedure burocratiche da seguire per costituire una nuova attività imprenditoriale, erogano direttamente delle agevolazioni per l’accesso ai finanziamenti bancari o dei contributi per le piccole e medie imprese, solitamente finalizzati all’acquisto di attrezzature e macchinari o per finanziare la ricerca e lo sviluppo tecnologico.
Per coloro che fossero interessati a conoscere ed analizzare le realtà e la distribuzione delle imprese sociali in Italia, potrebbe risultare utile accedere all’Iris network, la rete nazionale degli istituti di ricerca sull’impresa sociale, che periodicamente divulga dei rapporti analitici e promuove lo scambio di conoscenze tra la comunità scientifica e gli addetti ai lavori.
Quando si parla di Terzo Settore solitamente si fa riferimento all’assistenza socio-sanitaria e chi meglio della figura infermieristica può essere capace di intercettare i reali bisogni assistenziali e le corrette modalità di erogazione dei servizi?
Se avete un’idea e vi alletta la soluzione dell’impresa sociale, non vi resta che fare il vostro “business plan” e trarre le conclusioni…
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