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Editoriale

Che infermieri siamo se non solleviamo il nostro j'accuse?

di Giordano Cotichelli

Satnam Singh, bracciante indiano di 31 anni, è morto nelle campagne di Latina a causa di un grave incidente che gli ha amputato il braccio mentre lavorava. Certo qualcuno dirà che quanto è accaduto non è colpa degli infermieri, rivendicando una domanda, utile per mantenere pulita la propria pelosa coscienza, che afferma: Cosa c’entriamo noi? Che cosa possiamo fare? Ci sono i sindacati i partiti, il parlamento, etc. etc. Già noi abbiamo i nostri problemi. Ma è bene ricordare, specie ai pavidi e ai belanti di ogni risma, che la storia ci verrà a cercare un giorno e chiederà: In quel tempo che cosa hanno detto o hanno fatto gli infermieri italiani?

Tutto questo succede in Italia

A chi è abituato a seguire il telegiornale di Enrico Mentana, senza temere gli strali ironici del Presidente del Consiglio in carica, non sarà sfuggito il commento del giornalista riguardo la morte sul lavoro di Satnam Singh, bracciante di trentuno anni deceduto per mancanza di sicurezza e per le cure negate.

Il commento a caldo di Enrico Mentana denunciava con voce grave l’accaduto e le parole di chiusura del passaggio sono state: È soltanto il momento che tutti ci rendiamo conto di cosa siamo e di cosa è diventato questo paese.

Nelle stesse ore, a Brembio (LO), un ragazzo di 18 anni – Pierpaolo Bodini – è morto schiacciato da una seminatrice, mentre lavorava in una cascina. A Sesto Calende (VA), un altro ragazzo di 19 anni ha avuto un grave incidente sul lavoro. A Brandizzo, nel torinese, la direttrice di un supermercato ha apostrofato le dipendenti, sulla chat aziendale, affermando che se la dovevano fare addosso invece di perdere tempo per andare al bagno.

Tutto questo succede in Italia, uno dei paesi più ricchi del mondo, con una classe politica fra quelle più profumatamente pagate e con una classe imprenditoriale che da anni accumula profitti inimmaginabili.

Questo accade in Italia, luogo di democrazia e salute universalistica, patria di alti valori etici ed umani, terra di poeti, artisti, eroi, santi, pensatori, scienziati, navigatori e trasmigratori. E di infermiere ed infermieri.

Già, perché ancor prima che rinfacciare a ministri e parlamentari, dirigenti e caporali, partiti e sindacati la grave responsabilità degli omicidi del profitto, è necessario partire dal proprio piccolo mondo, sul piano individuale e professionale, collettivo e comunitario, e chiedersi:

Ma che razza di infermieri e cittadini, lavoratori ed esseri umani, siamo se di fronte all’orrore dominante non solleviamo alto il nostro j’accuse sociale?

Un buon codice deontologico per capire cosa siamo diventati

Al di là di qualsiasi retorica giustificativa o strale corporativo, è forse necessario, in un tempo come quello attuale, cercare dei riferimenti validi e solidi, e cosa ci può essere di meglio, e di rassicurante, di un codice deontologico per indicare la retta via da seguire?

Specialmente poi se lo stesso codice è ben articolato in capi ed articoli (53), ed è stato aggiornato di recente; appena cinque anni fa. Certo non tutto ciò che c’è scritto è utile a capire il da farsi, ma sicuramente quattro articoli ben definiti sottolineano le ragioni per le quali si dovrebbe prendere atto della gravità del momento e porsi degli obiettivi di cambiamento, di azione, di dignità umana quanto professionale.

Non in mio nome

Pensare che le parole riportate possano riferirsi solo al contesto ospedaliero, dei servizi territoriali, e alla dimensione interna della professione è semplicemente sbagliato e pone l’infermiere in una posizione sostanzialmente di passività ed ancor più di subalternità e complicità a questo sistema di sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

Certo qualcuno dirà che quanto è accaduto non è colpa degli infermieri, rivendicando una domanda, utile per mantenere pulita la propria pelosa coscienza, che afferma: Cosa c’entriamo noi? Che cosa possiamo fare? Ci sono i sindacati i partiti, il parlamento, etc. etc. Già noi abbiamo i nostri problemi, manca solo che stiamo anche dietro alle questioni che riguardano “quelli là”.

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Commenti (1)

MaxGen76

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47 commenti

D’accordo…ma fino a che punto?

#1

Ha ragione, forse a detta sua, beliamo TUTTI NESSUNO ESCLUSO…! Ma forse è possibile che a lei sfugge un particolare! Non riusciamo ad essere nemmeno coesi per migliorare la nostra condizione di demansionati, sfruttati, sottopagati e spesso in burnout, che i primi a non essere al sicuro sul posto di lavoro siamo proprio noi e di conseguenza proprio chi dovremmo assistere, I POVERI PAZIENTI! Soprattutto la notte che si è in due contro 20-50 pazienti in quanto mancano le figure di supporto/subalterne! Allora la domanda che mi pongo e che pongo a tutti voi, come facciamo noi ad aiutare, se non siamo messi nelle condizioni di aiutare nemmeno i nostri pazienti? Noi per primi non abbiamo un’ identità se non riusciamo a far applicare le leggi vigenti a partire dalla 739 del 1999, la 42 del 1999, la 251 del 2000 ecc ecc!!!! Come facciamo ad aiutare noi che non siamo in sicurezza, non rispettando per primi noi la legge, vittime del “caporalato” di aziende, datori di lavoro, sindacati, politica (TUTTA destra e sinistra, perché è da almeno trent’anni che si attende un cambiamento e quanti governi si sono succeduti nel frattempo?) che pensano solo al risparmio per aumentare i loro capitali, all’insegna dello spot ormai non più credibile “i soldi non ci sono?” Spesso e volentieri ci attribuiscono più e più mansioni (siamo rappresentati come la dea Kali con sei braccia) risparmiando sulla nostra pelle e quella dei poveri pazienti (gli unici poi a pagare tale condizione!) che inoltre fanno perdere di vista l’essenza stessa dell’assistenza! Allora ribadisco con forza, mettiamoci prima noi in sicurezza per poter mettere in sicurezza tutti gli altri, salvando chi necessita di aiuto! D’altronde in qualsiasi intervento che necessiti una RCP (BLSD), la prima regola da rispettare è la messa in sicurezza dell’operatore stesso, principio cardine per poter procedere a prestare soccorso!