La società liquida, così come l’ha definita Zygmunt Bauman, ha permeato la nostra esistenza di non certezze. Di assenza di solidità. Ancora da scoprire tutte le conseguenze di tale fenomeno, anche se alcune già note. Anche a noi infermieri.
Infermieri, senso di appartenenza, consapevolezza e partecipazione
La società post-moderna, definizione abusata da sociologi e politici, ha come punto 0 la globalizzazione e questa ha origine dall’imposizione della finanza sull’economia e sulla politica.
La globalizzazione ci era stata venduta come una condizione inevitabile, che avrebbe aumentato gli scambi e portato benessere laddove benessere non c’è. Inoltre avrebbe permesso il passaggio delle persone attraverso frontiere senza barriere. Una condizione rassicurante.
Invece, una delle drammatiche conseguenze di questa situazione determinata, è stata l’assottigliamento del ceto medio che, da sempre, risulta l’elemento fondante la Democrazia.
Gli ultimi risvolti sociali determinatisi in occidente altro non sono che una delle emergenze – nel senso letterale del termine - date dall’interazione e interrelazione delle varie parti: interessi privati, finanza, malaffare.
Ma esiste un’altra grave conseguenza che si è definita in questi ultimi anni: la scomparsa del senso di appartenenza. La mancanza di questa condizione si rende causa di uno scollamento tra le persone e i luoghi, intesi come luogo di lavoro, ma anche come territorio.
La dicotomia tra società civile e territorio è maggiormente acuita nei grandi centri urbani, laddove la vita di quartiere è, oramai, inesistente. Le grandi periferie rappresentano il suburbio, quartieri che le persone “vivono” solo come dormitorio e non come parte integrante della loro esistenza.
Fenomeno che si può definire come urbanizzazione passiva. La spersonalizzazione di questi quartieri è stata anello retroattivo, causa ed effetto, di una desertificazione, ad esempio, del piccolo commercio, a pro dei grandi centri.
I bambini non sono più soliti giocare negli spazi aperti, ma sono costretti a frequentare - i più fortunati - luoghi chiusi come le palestre. Unici ambienti dove i nostri bimbi possono socializzare, in un tentativo di emulazione del gioco.
Attenzione, non si vuole demonizzare lo sport, specie se di squadra. Assolutamente no! Lo sport ha una funzione sociale e formativa fondamentale. Ma l’attività sportiva non deve sostituirsi al gioco, momento propedeutico altrettanto fondamentale nello sviluppo ontologico dei nostri ragazzi.
Entrambi i momenti, sport e gioco, devono essere incentivati dalla società e dai genitori. La vita di relazioni ha inizio proprio nei primi anni della nostra vita. Ma affinché i nostri bimbi possano giocare all’aria aperta c’è bisogno di spazi verdi in ogni quartiere. Spazi verdi e sicuri. Sicurezza che si può ottenere, anche, attraverso una sana frequentazione degli stessi. Riempire gli spazi vuoti in maniera positiva funge da deterrente all’occupazione degli stessi per uso negativo.
Il senso di appartenenza ad un luogo, ad un territorio è condizione positiva, espressione di vitalità, di corresponsabilità, di interazione e interrelazione tra le persone. La condivisione di sentimenti positivi trasmette altri sentimenti positivi, che si possono tradurre in azioni concrete.
Il senso di appartenenza a un determinato luogo favorisce l’inclusione. L’esclusione avviene quando si smarriscono sentimenti positivi verso il proprio territorio, quando si percepisce indifferenza verso i propri luoghi abitativi e il territorio circostante. L’amore per i propri luoghi di appartenenza altro non fa che aumentare il senso di responsabilità verso gli stessi.
Il senso di appartenenza al luogo di lavoro
Così come accade per le nostre case, così accade per i nostri luoghi di lavoro. Ad oggi è estremamente difficile che i lavoratori in genere - e noi professionisti della salute in particolare - avvertano un senso di appartenenza al proprio posto di lavoro.
La concentrazione degli ospedali, con la chiusura di quelli piccoli, avrebbe dovuto risanare il bilancio delle sanità regionali. Al momento, invece, ha portato solo ad una spersonalizzazione dei luoghi di cura.
Condizione questa che accomuna i cittadini utenti a noi professionisti della salute. Se non esiste “senso di appartenenza” non esiste neppure quel bene, che è elemento in grado di fornire valore alla nostra professione.
Esiste una gran bella differenza tra andare a lavorare e vivere il lavoro, tra timbrare il cartellino e essere elemento propositivo nel proprio ambito professionale
A tale condizione si può porre rimedio. Come? Intanto compiendo una clamorosa marcia indietro e riaprendo, o rivitalizzando, i piccoli luoghi di cura che sono stati chiusi o depauperati negli anni.
In Italia sono stati chiusi o ridimensionati alcuni ospedali, con lo scopo di razionalizzare e diminuire il disavanzo dei fabbisogni regionali. La realtà è che a scapito di un miglioramento dei conti pubblici regionali, ma non del pareggio di bilancio, spesso si è verificata una condizione di disagio per il cittadino/utente, che si trova a dover effettuare spostamenti notevoli e ad affrontare lunghe liste d’attesa.
Una condizione calata in una nazione come l’Italia, che ha la popolazione tra le più anziane d’Europa. Forse non si ha presente cosa può significare per persone di ottant’anni doversi spostare da una parte all’altra delle città per dover essere operati magari solo di una “banale” ernia.
Il piccolo vecchio ospedale di zona aveva un enorme significato per le persone che vi abitavano vicino, inoltre essendo luoghi di lavoro abbastanza piccoli i lavoratori tutti avevano aumentato il loro senso di responsabilità.
Il luogo di lavoro, il collega, il paziente erano qualcosa di tangibile, da valorizzare e da difendere, perché rappresentavano parte del loro territorio, parte della loro esistenza.
Tutto ciò si è andato perdendo a scapito di una razionalizzazione dei costi in sanità che si è solo parzialmente ottenuta.
Il senso di appartenenza al proprio luogo di lavoro è effetto di una partecipazione attiva alle dinamiche lavorative. La spersonalizzazione in ambito sanitario, ad esempio, ha prodotto una scissione profonda tra aspettative professionali e risultati tangibili.
Le delusioni professionali, la mancata partecipazione ai processi di trasformazione del proprio ambito, hanno prodotto una dicotomia tra il saper fare ed il saper essere, condizione quest’ultima raggiungibile esclusivamente attraverso un processo di inclusione del lavoratore. Percepire di essere parte del tutto.
La massificazione degli ambiti di cura sta portando verso una spersonalizzazione del rapporto professionista/paziente. Ma tutto ciò va assolutamente contro i principi base della ragion d’essere degli ospedali stessi.
Ospedale come luogo di cura, inserito in uno specifico contesto territoriale, con una precisa funzione su quel territorio, con l’unico scopo di porre al centro dei processi di cura il paziente.
E il mio territorio, come infermiere, qual è? Il mio “territorio” è il paziente. Del quale mi voglio e mi devo occupare a 360°
Sono Infermiere perché ho scelto di porre al centro della mia vita professionale la persona debole. Quindi, per essere parte inclusiva del mio “paziente/territorio”, ho bisogno di essere professionista preparato tecnicamente, ma pure professionista dotato di competenze non tecniche.
Ma non basta: devo saper trasmettere sentimenti positivi verso la persona che sto cercando di curare. E non basta ancora. Devo provare, ogni volta, a creare “empatia” fra me e il paziente.
Ma forse ancora tutto ciò è ancora insufficiente. Devo mettermi i guanti, per pulirlo quando questi ha evacuato e non è in grado di farlo in modo autonomo; devo rifargli il letto, quando questi non è autonomo e/o autosufficiente, solo così posso riuscire a comprenderne i reali bisogni fisici e mentali.
Solo attraverso una simile prassi io, infermiere, riesco a creare senso di appartenenza al mio “territorio” e riesco ad essere persona propositiva e positiva qualora mi debba confrontare con l’inclusione di figure professionali differenti dalla mia.
Attenzione, perché se io smarrisco il mio senso di appartenenza a quel “territorio”, perderò larga parte della mia funzione sociale e non dovrò stupirmi se arriva lo “straniero” e si insedia in quel che fu il mio territorio.
Commento (0)
Devi fare il login per lasciare un commento. Non sei iscritto ?